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Da La rosa canina | Leggende e fantasie
(1976 - 1978) | |
Leggenda dodicesima.
San Sergio di Radonež | Ormai non rimaneva nessuno:
né il fanciullo, fermo gli occhi all’acqua,
quando giocano gli altri compagni,
e vede crescere strani germogli,
cui converrebbero nomi
simili a incenso nei giorni di festa:
fichi, olivi, palmizî…
non il giovane, ch’era là in ascolto,
e andava, andava, già oltre la richiesta…
non l’uomo, che divise con un orso
il suo ultimo pane, e alzò le mura
in cima al colle, edificato, in sogno…
non l’anziano, che gli angeli, si dice,
visitavano e insieme conversavano…
E così, non rimaneva nessuno.
Non dei monaci il padre d’un tempo,
maestro d’una terra che si fa grande;
non quello futuro, cui delle pene
nostre il peso e il racconto deporremo:
“Noi stessi, padre, non osiamo, chiedi
tu per noi. L’anima assomiglia
all’ampio cerchio di quelli che guardano
l’evento: viene, ancora tra le lacrime –
e alla prima felicità, che ancora
chiede felicità, – ecco se ne va.
Piccolo fiore! Chi lo accoglierà,
chi se non tu, tra i fiori tuoi, inginocchiati? –
Chiedi per noi”.
Ma ormai in quest’ora sera
nessuno rimaneva.
C’erano i pini, e felci ed equiseti,
e il grido degli uccelli, e amari arbusti,
e l’odore del legno, come schiappe
che dieci giorni dopo ardono ancora.
Qualcuno ripensava al suo cammino.
E all’improvviso crolla e poi s’inchina
a quel che in lui nel cuore si compiva.
E quei che più non era,
ed era ormai la pioggia e la foresta,
ed era l’aria in tumultuosa attesa,
e il granaio profondo e sincero
del misterioso frumento del Nord –
placidamente s’umiliò in ginocchio
anzi l’inchino
e ancora puoi vederlo
da lontano, e in ogni dove, e nell’intimo. | Adalberto Mainardi | |
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San Sergio di Radonež |
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