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Da La rosa canina | Leggende e fantasie
(1976 - 1978) | |
Leggenda settima.
Morte di Alessio, uomo di Dio | Tu giardino, tu l’orto patrizio,
tu marmo che al cuore s’innesta,
tu stormisci su l’acqua sognante
e la mediterranea giovinezza,
partendo l’ultima bellezza
con l’orfano ridivenuto figlio.
E s’abbandonano i petali
e l’acqua si schiude
e le colonne fan battere il cuore,
fiorendo, di rossore.
E potrà forse l’uomo indovinare
perché fu il bel giardino seminato,
perché ci lasciano soli a penare
e dalla gioia ci chiamano indietro
e chiedono di prenderne commiato
ed avvolgono ancora nel passato?
Ed ecco riesce nel giardino la finestra.
Come in un riflesso malato di mente,
riconosce il proprio sguardo nuovo
nel suo imbarazzo e distretta.
Le fibre credono e dolgono:
– Veramente Dio passa come un tosco? –
Passa, passa nel sangue come un tosco,
innocuo all’indifferente,
non dilacera che il cuore in ascolto,
come strappi una lettera d’amore,
e il cuore implora:
– Strappa!
io sento l’abbassamento rapace
di un’altra capitale. Al paragone
di quella, tu – discreta umiliazione,
suburbio di seconda giovinezza.
Pianto dei famigliari, urla di prefiche. –
È qui ormai. La famiglia malata
con la luce del giorno mi vuole.
Uscirò, senza levare gli occhi,
senza affrettare il passo.
E se il tempo consola,
vi accoglierà, come il pianto il fazzoletto,
come si tolgono le stalattiti dal cero,
come alle finestre le rondini volano.
Com’io camminerò d’occhi in occhi
nelle lacrime della rimembranza,
io – voce per voi levata,
ed elemosina accolta. | Adalberto Mainardi | |
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Morte di Alessio, uomo di Dio |
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