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Da La rosa canina | Leggende e fantasie
(1976 - 1978) | |
Il viaggio dei Magi | I.
Chi l’andare ha provato così a lungo e lontano,
destandosi ed ancora sopendosi e sognando
d’una piccola vita, che si scioglie sul palmo
della lingua e in noi penetra, come l’ultimo miele,
come aperto legame
dalla riga nella mano
alla stella nel fiume largo immenso del cielo,
II.
quello ancora conosce come il fine vien meno
per via e il cumulo cresce di preziosi presagi,
come per la via stretta nelle ore di tenebra
corre accanto la luce cosparsa di sabbia,
e visioni millenarie
dal seno
fuoriescono in corsa, come aria, e inanzi attendono:
III.
o una sorta di libro nel buio a colori,
esso stesso di tenebra, ma per gli occhi frescura,
quasi come la vista, cadendo col raggio,
si sia fatta adulta, crescendo in via oscura,
e corra
risplendendo su un’antica scrittura,
come candele in festa sopra un’arbore dura;
IV.
o la steppa d’inverno sia simile ad una
camera da letto d’oscuri specchi a tendaggio,
dov’è la scarlattina sull’infanzia e la noia,
perché trovi a occidente la lampada lo sguardo,
come cristallo
rifranto in lacrime che si colora,
e alla lampada siedono, nella notte lavorano;
V.
o, quasi come il volto dal foglio nel levare,
le cose rivelassero per loro tutta l’alea:
pietre chiaroveggenti dall’iride immortale
illuminano il tronco d’arbore sotterranea –
così che ognuno legga
il proprio desiderio –
ma dentro né segreto né alcuna gioia v’era.
VI.
Silenzio solo c’era e cammino senza fine.
Di minerali e stelle lo scrigno rivolto
li aveva ormai annoiati. Li torturava il fine,
qual volto senza volto, che li fissava in volto;
quasi senza avere scorto
anello in seno a molti anelli, infine
andavano già oltre, cerchiati dalla fine.
VII.
– Oh, come il cuore duole, che gran calamità!
Tu, che hai posato il fuoco qual cosa tra le cose,
perché hai chiamato me e guardi verso qua?
Di molto nel tuo abisso non sono io migliore!
Abbi pietà
di questa povera vita! Pietà
che amato non ha mai ella
se stessa, che la stella
come acqua ci porta e ci insella…
VIII.
E dove sempre vollero, furono in quella. | Adalberto Mainardi | |
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