Orientale lumen: aspettando una risposta | Dall'oriente all'occidente e a ogni uomo
La lettera apostolica di papa Giovanni Paolo II, che si rivolge anzitutto ai figli della chiesa cattolica, è animata dall'ardente desiderio di superare quella discordia e divisione tra le chiese cristiane, che non solo contraddicono apertamente la volontà di Gesù espressa nella preghiera dell'ultima cena, ma che proprio per questo costituiscono un peccato grave e uno "scandalo per il mondo"1.
II tema della lettera è la bellezza e la ricchezza della tradizione orientale: il vescovo di Roma desidera condividere con il suo gregge il proprio amore per questa tradizione, persuadendolo della necessità di conoscere quest'altra via spirituale. Alla lettura è impossibile non percepire il profondo radicamento personale dell'amorosa e ammirata venerazione del papa per la "Luce dall'Oriente", e soprattutto l'enorme lavoro di studio e approfondimento che sottende la compattezza e la chiarezza con cui vengono presentati i tratti essenziali del cristianesimo orientale. L'eredità della spiritualità dell'oriente non è descritta come una sorta di ventaglio di possibilità esotiche per l'uomo occidentale contemporaneo, ma come un'unità organica, che ha un centro; ognuno dei doni che ne costituiscono il deposito è legato agli altri, esso stesso li genera e a sua volta ne è generato: esperienza eucaristica e divinizzazione, preghiera del cuore, spiritualità neptica e apofatica...
Una sintesi di questo modello la si può vedere al nr. 16, che conclude la prima parte della lettera:
In questa umile accettazione del limite creaturale di fronte all'infinita trascendenza di un Dio che non cessa di rivelarsi come il Dio-Amore, Padre del Signore nostra Gesù Cristo, nel gaudio dello Spirito santo, io vedo espresso l'atteggiamento della preghiera e il metodo teologico che l'oriente preferisce e continua a offrire a tutti i credenti in Cristo.
Molte delle cose che 1'Orientale lumen dice della spiritualità orientale sono argomento costante di teologi e storici della chiesa ortodossi, e solitamente in un contesto polemico: come ciò che ci separa e ci contrappone a Roma, rendendo impraticabile qualsiasi accordo. La lettera, sviluppando le linee del concilio Vaticano II, vuole guardare alle differenze tra le chiese non come a elementi che si escludono reciprocamente, ma che si completano l'uno con l'altro2. "Qui noi troviamo risposta a molte nostre domande, qui si trova ciò di cui noi, cristiani d'occidente e uomini moderni, abbiamo bisogno": è questa l'idea sottesa all'esposizione di molti temi peculiari della spiritualità dell'oriente. Così, parlando del padre spirituale nella tradizione monastica, la lettera osserva: "II nostro mondo ha un estremo bisogno di padri"3. Dal tesoro dell'esperienza orientale l'umanità contemporanea, orfana di padri, potrà apprendere "quale consolazione e quale sostegno sia la paternità nello Spirito"4. Al nr. 16, dedicato alia tradizione esicasta, leggiamo che
abbiamo tutti bisogno di questo silenzio carico di presenza adorata ... Ne ha bisogno l'uomo di oggi ... Tutti, credenti e non credenti, hanno bisogno di imparare un silenzio che permetta all'altro di parlare, quando e come vorrà, e a noi di comprendere quella parola.
In molti altri luoghi della lettera, in cui pure manca un'attualizzazione analoga, noi possiamo indovinare, dietro all'apprezzamento e alla descrizione delle ricchezze della tradizione orientale, lo stesso sguardo attento a una "contemporaneità" esaurita e devastata: esse se ne lasciano interpellare, e le offrono una risposta. Così la straordinaria descrizione del monastero come "luogo profetico in cui il creato diventa lode a Dio" 5 è come se rispondesse alla disperazione dell'uomo contemporaneo di poter trovare un senso all'esistenza. Le parole sull'obbedienza, il cui significato viene purificato dall'idea di sudditanza o di cieca sottomissione: "L'obbedienza, cioè l'ascolto che cambia la vita"6, offrono una via d'uscita da quell'aporia a cui la radicale pretesa alia libertà individuale ha condotto l'uomo moderno. Le parole sulla trasfigurazione del creato stesso nell'esperienza liturgica – "Nella liturgia le cose svelano la propria natura di dono offerto dal Creatore all'umanità" 7 – rispondono al contemporaneo estraniamento dell'uomo dal cosmo, all'acosmicità della nostra civiltà, il cui esito eloquente sono le catastrofi ecologiche.
Certo, un ortodosso non può che rallegrarsi che proprio nella nostra tradizione il vescovo di Roma cerchi e trovi risposta agli interrogativi più brucianti della contemporaneità, che proprio nell'ortodossia sia stato custodito ciò che in altri luoghi è andato perduto. Ma proprio in questa esposizione è contenuto un insegnamento: il confronto dell'esperienza orientale con quella occidentale non è il fine ultimo della lettera del papa, perché il suo vero destinatario, la sua preoccupazione più profonda è il mondo intero: "L'uomo contemporaneo che attende il lieto annuncio"8. Sia l'oriente che l'occidente cristiani, chiamati a dare "una risposta concorde, illuminante, vivificante" di fronte "alle attese e alle sofferenze del mondo"9 nel pensiero della lettera rappresentano anzitutto la chiesa al servizio del mondo. In presenza di questo "terzo", il mondo, i rapporti tra i "due" acquistano un'altra dimensione.
La visione che l'oriente ha dell'occidente
Un'autentica risposta alla lettera apostolica Orientale lumen che, almeno nella sua prima parte, è un'ispirata lode alle ricchezze spirituali del cristianesimo orientale, avrebbe potuto essere un'analoga lode della tradizione occidentale: altrettanto aperta, rispettosa e attenta – e composta da chi potesse autorevolmente rappresentare la chiesa ortodossa –. E invece? Una simile risposta è attualmente pressoché inimmaginabile! Non solo, ma se una risposta simile apparisse, sotto qualsiasi forma, persino come silenziosa fiducia verso l'occidente cristiano nell'atteggiamento degli ortodossi, si potrebbe dire che la divisione, nella sostanza, sarebbe superata. Ma chiunque sia anche solo un po' al corrente della vita ecclesiale in Russia oggi sa quanto si sia ancora lontani da questo. Quasi ognuno di noi sente dentro di sé questo raffreddamento verso l'altro, spesso del tutto irrazionale.
La critica di questo o quell'aspetto della propria tradizione, nella teologia ortodossa, è abitualmente motivata come critica di elementi "occidentali", conseguenza dell'"occidentalizzazione", della "penetrazione del latinismo" (cosi Georgij Florovskij, Christos Yannaras e molti altri). Grazie a questa ostinata persuasione, anche senza conoscere a fondo l'autentica tradizione occidentale possiamo permetterci di elencare, come fatto di per sé evidente, le "nefaste" influenze dell'occidente: la sostituzione della "religiosità" alla vita di fede, dell'istituzione alia chiesa, della conoscenza razionale alia conoscenza per partecipazione, della meditazione alia contem plazione, dell'idea o allegoria all'immagine, di sensi e mente separati tra loro al "cuore" e via dicendo.
Giuste o meno che siano queste rappresentazioni di che cosa sia "occidentale", esse fanno parte tuttavia del nostro modo di sentire attuale, di quel codice non scritto che regola la coscienza religiosa di ogni buon parrocchiano, non particolarmente versato – al pari di chi scrive – in problemi storici e dogmatici. E tuttavia questa pietà non scritta, questo costume interiore – che corrisponde all'incirca a quel che gli autori occidentali chiamano spiritualità, ma che qui la gente chiama "fede" – non è un mero componente della cultura locale, di una tra le molte culture10, ma è forse il nocciolo stesso della tradizione ecclesiale ortodossa; in ogni caso, è quella parte che più da vicino ne tocca il cuore, ne esprime immediatamente l'essenza, e voler estrarre, dalla viva carne di questa, una qualche essenza sovralinguistica, sovraculturale, sarebbe impresa altrettanto vana che ricavare un "senso" verbale da un'opera musicale o poetica. Ed è tra tutte la parte più resistente; difficilmente avrebbero presa su di essa persino le coincidenze nell'espressione formale, verbale, delle verità dottrinali, proprio perché a ogni parola di tali formule corrisponderebbero esperienze diverse.
A dire il vero, il luogo stesso di questa pia coscienza "non scritta" nella vita ecclesiale contemporanea in oriente non è affatto il medesimo che in occidente: in ogni caso, tale dislocazione può bastare a spiegare la percezione così diversa, in oriente e in occidente, di quanto le due tradizioni abbiano in commune. Gli autori cattolici ripetono spesso l'idea che "abbiamo in comune quasi tutto", come afferma la lettera apostolic11, mentre gli ortodossi, anche ai nostri giorni, sono pronti a sottoscrivere le parole di Vasilij Rozanov, che nel 1901 riferiva così le proprie impressioni romane: "Sì, non è la separazione di due chiese, come scrivono i manuali ... Si tratta di due religioni assolutamente diverse: l'ortodossia e il cattolicesimo". È facile immaginare come l'avvicinamento a una tradizione nella quale si avverte costantemente una presenza pericolosa, la minaccia di una vera e propria "caduta spirituale", e non si coglie quasi mai nulla che provochi attrazione ed elevazione, non possa suscitare un grande entusiasmo. L"'eros cattolico", per coloro che nella storia russa se ne lasciarono sedurre, finì solitamente per costituire il foglio di via oltre i confini dell'ortodossia, da dove ormai la loro voce non raggiungeva più i connazionali. Così che uno spassionato elogio dell’occidente cristiano, all'interno dell'ortodossia, anche ai nostri giorni è cosa troppo poco preparata...
La luce della libertà che viene da occidente
Nonostante tutto questo, la simbolica dell'occidente in oriente non è vuota e non è negativa: uno dei più bei canti liturgici antichi, il Phòs hilarón (Luce gioiosa), canta l'incarnazione come luce della sera: "Giunti al tramonto del sole, contemplando la luce della sera, cantiamo il Padre e il Figlio e lo Spirito santo Signore". L'immagine nell'ortodossia, come è noto, è incomparabilmente più alta di qualsiasi definizione: l'immagine dischiude il future. E forse questa immagine di sbalorditiva bellezza, il chiarore della "quieta – letteralmente: limpida, gioiosa – luce a occidente", parole che vivono nella memoria di ogni ortodosso sin dall'infanzia, un giorno troverà il suo compimento in una realtà concreta. E la bellezza dell'occidente, che ora non riusciamo a vedere, sarà per noi chiara e desiderata.
Che cosa potrebbe significare l'immagine della luce occidentale, della "luce della sera"? Una spiegazione concettuale resta incommensurabile con il senso dell'immagine, come una retta con una circonferenza, e tuttavia a qualcosa può far segno. E se l'immagine dell'"orientale lume" evoca anzitutto l'esperienza della speranza e della gioiosa novità, la consolazione della luce della sera, mi sembra, porta con sé la liberazione da ogni lungo peso, la leggerezza della libertà. E in effetti, se dalle nostre longitudini diciamo la nostra riconoscenza all'occidente – non al cristianesimo d'occidente, che noi, ripeto, nella sostanza non conosciamo, ma verso l'occidente laico, verso la cultura europea – allora, indubbiamente, incominciamo da questa parola: libertà.
Forse il tema della cultura laica sembrerà insolito in questo contesto. Ma si può ricordare che anche l'occidente (e nel XIX secolo per la Russia significava l'Europa) incontrò la tradizione ortodossa e si innamorò di essa non nelle sue espressioni ecclesiastiche, ma nel "romanzo russo", in Tolstoj e Dostoevskij. I maestri europei della Russia (e non solo della Russia: dai Dialoghi del patriarca Athenagoras I sappiamo quale importanza abbiano avuto per la sua vita spirituale I miserabili di Victor Hugo12), potevano sentirsi lontanissimi da qualsiasi tradizione ecclesiale e da Roma, un po' come anche il legame tra gli scrittori russi e la propria chiesa non è mai stato senza problemi. Essi potevano anche rivoltarsi contro la chiesa, ma quel che le loro opere portavano si era nutrito a quella secolare scuola cristiana: ne esprimeva la bellezza e le potenzialità creative, che risultavano forse ancor più evidenti se contemplate dal di fuori. La "santa letteratura russa" (come la chiamò Thomas Mann), grazie alla quale l'occidente per la prima volta poté gustare il sapore della spiritualità ortodossa, Tolstoj e Dostoevskij, Čechov e mold altri, quell'umanesimo e quell'ispirazione particolari che la loro scrittura incarna, quella tensione alle "cose ultime", a "ciò per cui val la pena vivere", che ormai nella letteratura e nell'arte rappresenta il "principio russo", sarebbero stati impossibili senza i loro maestri europei: Dickens, Hugo, Rousseau, Schiller, Raffaello... senza coloro nella cui opera lo spirito europeo si scopre come spirito della civiltà cristiana, dell'umanesimo sociale cristiano e dei suoi valori, che apparivano come frutti esotici per la realtà russa: l'incondizionato valore della libertà e l'inalienabile rispetto per l'uomo. Lo spirito dell'Europa cristiana, come lo conoscevano gli scrittori, i pittori, i pensatori della Russia degli zar e dei servi della gleba, e come anche noi lo abbiamo conosciuto negli anni della cattività comunista, era la negazione dell'umiliazione e della violenza. E se dalla lettura dei classici europei nelle nostre infanzia e giovinezza difficilmente potevamo renderci conto di quanto questi fossero legati alle fonti del cristianesimo e alla storia cristiana d'Europa, eravamo senz'altro capaci di riconoscere il volto cristiano di Hans Christian Andersen o di Charles Dickens e, al tempo stesso, riconoscevamo la libertà come dono cristiano, quella "libertà segreta" di cui parlava Blok a proposito di Puškin: nel linguaggio poetico, l'espressione significa "mistero della libertà". Poiché la libertà non è cosa meno sacra di quegli altri doni che, quali tesoro dell'oriente, la lettera del papa enumera.
Mi sono permessa di parlare della libertà tenendo conto dell'esperienza reale del momento presente. All'inizio del capitolo dell’Orientale lumen intitolato: "Tra memoria e attesa", leggiamo:
Spesso oggi ci sentiamo prigionieri del presente: è come se l'uomo avesse smarrito la percezione di far parte di una storia che lo precede e lo segue. Aquesta fatica di collocarsi tra passato e futuro con animo grato per i benefici ricevuti e per quelli attesi, in particolare le chiese dell'oriente offrono uno spiccato senso della continuita, che prende i nomi di tradizione e di attesa escatologica13.
Come 1'esperienza ci insegna, un così acuto senso della grandezza del passato e di ciò che proviene dal futuro può accompagnarsi all'incuria per il presente, per ciò che apertamente chiede ormai una nuova risposta, o un modo nuovo di rispondere. Mi sembra che sia proprio la libertà come fondamento dell'esistenza personale ad aiutarci a percepire il presente come ciò che non è ancora ma è già decisivo – e cioè a sentire che anche il passato non è che una serie di tali presenti e che il futuro avviene in quanto presente. Intendo la libertà dell'uomo da strutture inumane: sociali, storiche, statali, etiche e via dicendo, da ciò che in esse è repressivo dell'intima profondità della persona, dal soffocante orizzonte del fato che le abita. Ma quel che è più importante, penso alia libertà dalla scelta fatale tra essere padroni o essere schiavi, esercitare il potere sugli altri o subirlo; scelta che trasforma la sopravvivenza umana in una guerra senza vie d'uscita per il potere o contro il potere, sotto le insegne più diverse. È la libertà di non dominare e di non sottomettersi, la cui beatitudine consiste nel poter "far dono della libertà" agli altri, secondo la profonda intuizione di Puškin.
Certamente potremmo trovare la chiave di questa libertà anche nella nostra tradizione, nelle antiche raccolte delle vite e dei detti dei padri, nei racconti sugli starcy e gli asceti che avevano raggiunto quella vertiginosa libertà che rende liberi anche gli altri, nella viva esperienza dell'incontro con uomini spirituali, capaci di una parola vera, come il metropolita di Surož Anthony Bloom. Ma purtroppo nell'opinione ecclesiastica corrente e per molti pubblicisti ortodossi contemporanei la libertà resta un'idea estranea e persino pericolosa, "occidentale", roba da intelligencija, che non riguarda affatto la chiesa: rimane per così dire agli antipodi della sobornost', di quella "unità conciliare" della chiesa che viene a sua volta intesa come un collettivismo aggressivo, nemico della persona e della creatività. Non solo, ma se in occidente i valori cristiani della libertà e della dignità umana sono usciti dalle chiese e dai monasteri per diffondersi nel mondo e diventare il fondamento della società civile, persino nel suo attuale aspetto secolarizzato, nella società russa essi sono tutt'altro che consolidati.
La persecuzione dell'indifferenza
Va da sé che l'intuizione della libertà personale non è priva di rischi, soprattutto in una società che si definisce "post-cristiana" e che per sua piena tranquillità sarebbe propensa a ritenersi del tutto "a-cristiana", senza alcuna relazione con la croce di Cristo, come ha detto Giovanni Paolo II nel discorso che ha concluso la Via crucis del I° aprile 1994. Anzi, senza nemmeno il desiderio di combatterla. È questo il mondo in cui vive la chiesa d'occidente: davanti a questo volto anonimo si fa sentire con particolare forza la necessità dell'unità dei credenti. Prima della caduta del regime comunista noi non ne avevamo alcuna esperienza: in mezzo a una guerra aperta e totale contro il cristianesimo sarebbe stato difficile persino immaginare la possibilità di una tale indifferenza. Anche adesso, mi sembra, sono ancora pochi coloro che prendono sul serio questa situazione: i più, in fondo, la ritengono cosa che "non ci riguarda". Non si è ancora sopita l'euforia per il ripristino dei pieni diritti civili per la chiesa, per la svolta post-comunista nella storia russa, in cui si vuol vedere la vittoria degli innumerevoli confessori dell'ortodossia e dei nuovi martiri. I comunisti e i propagandisti dell'ateismo di ieri vanno in chiesa; si rifondano parrocchie, monasteri, scuole e accademie ortodosse.
Come le persecuzioni di pochi anni fa, così anche 1'attuale trionfo della chiesa è un tratto peculiare della situazione russa, che la rende unica. L'uomo a cui si rivolge oggi la nostra chiesa è rimasto "senza Dio" in modo assolutamente diverso dall'uomo occidentale, e il suo grido per una "nuova evangelizzazione" suona in un modo del tutto diverso. Da noi spesso è piu che sufficiente una semplice iniziazione ai rudimenti della dottrina cristiana, un corso di catechismo per il quale sono correntemente in uso ristampe di vecchi manuali ottocenteschi; si tratta di una catechesi piuttosto elementare, da cui la gente era stata tenuta lontana con la forza per tre generazioni. E questo ora le basta per ritornare in chiesa. Non ha paura, come in occidente, del paternalismo e dei toni didascalici, non teme l'ideologizzazione né l'integrismo, anzi, ne va in cerca. Non si compiace dello scetticismo di chi è sazio di informazioni, e per parlarle non c'è bisogno di troppa tensione intellettuale o culturale: quello che essa si aspetta è piuttosto la semplificazione delle questioni complesse. Non sfugge l'istituzione ecclesiastica come struttura di potere potenzialmente repressiva (mentre è proprio la paura di un simile modello di chiesa ad alimentare l'anticlericalismo dell'uomo occidentale): l'uomo russo post-totalitario, abituatosi a consegnare la propria responsabilità a strutture ideologiche, cerca istintivamente di naturalizzare il potere spirituale, renderlo responsabile di tutto ciò che succede, politicizzarlo14. Infine, l'uomo che ha vissuto il socialismo reale è talmente abituato alia ferocia impersonale del collettivismo sovietico, che sarà toccato dal minimo segno di benevolenza e attenzione.
Ma è già poco probabile che i giovani russi della nuova generazione, cresciuti senza il terrore ideologico – e sotto l'influsso dei modelli più volgari del consumismo di massa occidentale, che ormai dilagano – somiglieranno a chi li ha preceduti. Già la nostra avanguardia culturale con insospettata rapidità si è adeguata al modello occidentale – e in quella versione dalla quale la chiesa è radicalmente esclusa. È una prospettiva sovente sottovalutata, o contro la quale si invocano le misure più rozze, del tipo di una cortina di ferro sui mezzi d'informazione, una nuova censura.
Immaginare una persecuzione della chiesa di un genere diverso da quel che accadde qui, e cioè la persecuzione dell'indifferenza, dell'agnosticismo sicuro di sé, del benessere consumistico, è possibile solo a chi ha avuto un'esperienza diretta dell'occidente e ne è stato a stretto contatto. Ma non sono molti. E certo quegli ortodossi che hanno avuto la ventura di sperimentare la contemporaneità occidentale non possono non sentire come il gelo dell'epoca postmoderna avvicini le tradizioni cristiane – ancora non molto tempo fa lontane tra loro "come dista l'oriente dall'occidente", secondo le parole del salmista (Sal 103,12); e non potranno non accorgersi che la coordinata orizzontale oriente-occidente è una variabile in funzione della presenza o assenza, nella vita degli uomini, di un altro vettore, verticale; e come noi siamo in un certo senso già insieme davanti al volto di quella "vita in forma di morte", di quella "vita segnata dai tratti della morte" di cui parla Dostoevskij: per il semplice fatto che la risurrezione di nostro Signore, per il quale "la vita è viva", costituisce per noi una realtà più reale di tutto ciò che la coscienza empirica vede e descrive.
E a questo punto non mi resta che riportare le bellissime parole dell'Orientale lumen sulla ri-surrezione di Cristo,
del Figlio, che si lascia uccidere sulla croce da un mondo che non lo riconobbe, ma è risuscitato dal Padre, quale garanzia perenne che nessuno può uccidere l'amore, perché chiunque ne è partecipe è toccato dalla gloria di Dio: è quest'uomo trasformato dall'amore che i discepoli hanno contemplato sul Tabor, l'uomo che noi tutti siamo chiamati ad essere15.
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| 1 Orientale lumen 17.
2 Cf. Orientale lumen 5.
3 Ibid. 13.
4 Ibid.
5 Orientate lumen 9.
6 Ibid.
7 Ibid. 11.
8 Ibid. 4.
9 Ibid.
10 II problema del pluralismo culturale e linguistico del cristianesimo di per sé, non è meno evidente per l'oriente che per l'occidente: si veda per esempio il grande apprezzamento dell'opera degli apostoli degli salvi" Cirillo e Metodio al nr. 7 dell’Orientale lumen, intitolato: "Vangelo, chiese e culture", nonche l'enciclica Slavorum apostoli.
11 Orientate lumen 3, con rimando a Unitatis redintegratio 14-18.
12 Cf. Atenagora, Chiesa ortodossa e futuro ecutnenico. Dialoghi con Olivier Clément, Morcelliana, Brescia 1995, p. 44.
13 Orientale lumen 8.
14 Così che il vento che spinge attualmente la società verso la chiesa porta con sé un pericolo noto: ciò che appare come esigenza primaria dell'ortodossia non sono affatto quei tratti della tradizione cristiana d'oriente ai quali è dedicata la lettera del papa; sotto lo zelo esteriore per il ristabilimento dell'antica pietà assistiamo al tradimento della sostanza.
15 Orientale lumen 15.
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